LA MALATTIA DI GRANDEZZA DEGLI AUTORI, DEGLI SCRITTORI SICURAMENTE PIÙ DIFFUSA OGGI DI TUTTI I TEMPI
Il cosiddetto “morbo di grandezza” degli autori, degli scrittori si sta enormemente diffondendo nel mondo letterario. Oggi forse più che mai. Molti possono essere i fattori. Primo fra questi il bisogno degli scrittori, di non essere tagliati fuori dal novero degli eletti di prima grandezza che viene fatto di essi dagli “esperti” così come anche dalla globalizzazione.
Sta di fatto ormai che tutti pervade la mania, la smania di essere grandi, classici o no. Oggi pare che siano solo quelli che tali ritiene un immenso critico americano come Bloom (statunitense) per il quale i grandi classici, se esistono, meritano giustamente un posto di riguardo nella letteratura mondiale. Ma noi affermiamo, unitamente a Berardinelli (nel suo elzeviro sul Sole 24h di domenica 19 aprile 2015) che, pur andando bene questo riconoscimento (e non perché l’ha decretata solo lui) a quelli che sono stati e sono i grandi di ieri e di oggi, dobbiamo ritenere che non c’è “cultura letteraria” senza autori minori (che potrebbero essere anch’essi maggiori pur non essendo considerati tali). Perché per la grandezza (un minore, insistiamo col dirlo, può essere grande al pari di quelli che tali sono già, come ad es. Stephen King o Umberto Eco) di nominativi famosi di cui quelli si pregiano, appropriatamente o no, conta soprattutto le specifiche qualità dei singoli autori, siano essi maggiori o minori.
Conta cioè che a questi siano riconosciuti, in egual misura, attributi validi della buona e qualificata narrazione (fatta a scatole cinesi o meno), di portata e tenuta stilistica, di persuasiva, convincente caratterizzazione dei personaggi, della composita teoria delle scene situazionali e ambientali di un romanzo. Che, secondo noi, non può affatto prescindere dall’essere, sia pure non esponenzialmente identitario nella tessitura del racconto, un misto di realtà e fantasia, anche se questa viene da Philip Roth, in qualche modo disprezzata o sottovalutata, se non odiata. Pertanto, se i grandi (e Bloom ne misura come adoperando un metro) sono tali veramente, anche i minori non vanno ignorati o dimenticati, specie se essi costituirebbero l’essenza, l’humus della stessa cultura letteraria.
Specie se essi potrebbero essere stimati come grandi. A maggior ragione quando pensiamo di non vedere in che cosa potrebbero essere minori, se anche Dante si sentiva in debito verso Cavalcanti o Brunetto Latini, valutati da lui come maestri o se Charles Baudelaire si sentiva in obbligo di ascendenza nientemeno che verso Edgar Poe. E poi noi riteniamo anche che i minori considerati tali non è giusto siano o debbano essere relegati negli ambiti degli esclusi dalla “grandezza” solo perché, pur con i meriti che ad essi vengono ascritti, di cui più sopra abbiamo accennato (pari o a volte o forse superiori a quelli dei maggiori) non hanno avuto magari quel battage pubblicitario che hanno avuto i diventati “grandi”anche a causa della formazione di questi sugli “oscurati” dalla loro fama. O solo o anche perché non hanno pubblicato le loro opere, i cosiddetti minori, presso i grandi editori, la cui biobibliografia è talmente così vasta, così estesa che aumenta inevitabilmente la grandezza delle loro opere, definite “opere mondo” (e siamo d’accordo con Berardinelli). Opere di cui cioè si deve assolutamente tener conto (pur con i loro difetti, magari). E poi permetteteci di dire ancora che i cosiddetti autori minori, anche se ritenuti tali, se anche non li pubblicano i grandi editori, sono e restano adeguatamente valorizzati e pubblicati da piccoli editori ritenuti provincialotti talora anche dozzinali. Minori come afferma lo stesso Berardinelli (e noi condividiamo la sua affermazione) che sono da considerarsi “maestri”, siano essi – aggiungiamo noi – noti come tali, sia che non lo siano affatto, solo a causa della lingua malfida dei denigratori per partito preso, scriteriati incoscientemente prevenuti. Minori che possono essere potenzialmente e realmente grandi. Rimanendo il fatto che le loro opere, pur editate alla macchia, abbiano – come noi siamo fermamente convinti – quelle caratteristiche di “novità”, di fascinosa attrazione, di sorprendente risvolto del gusto, non sempre quello tradizionalmente invecchiato, (di suspense, di brividi emozionali come in un noir (gotico o no) o di avventura) scevro da luoghi comuni soliti e abusati, ripetitivi. Ciò che conta è che la cultura letteraria considerata minore non sia scalzata via o considerata di scarto da quella letteraria “megalomane” da vera alienata. E pertanto, per concludere, diciamo che anche i minori possono, anzi debbono essere ritenuti senza dubbio grandi quando nei loro romanzi, ovviamente, ricorrano le “inclusive” prerogative suddette. Ne hanno tutto il diritto, secondo noi. E soprattutto quando i loro romanzi possono, a onor del vero, essere valutati anche come best-seller, alla pari di questi (se anche non come questi molte volte costruiti a tavolino) senza risultare come essi grattacieli di carta stampata, di più di un migliaio di pagine che pochi leggono rispetto alle pretese che essi ostentano. Con la prospettiva allettante che anche tali
minori – di alta statura – possono essere finalmente come i grandi consacrati non più nascosti dai librai come da tempo e ancora attualmente fanno perché di scarsa o di nessuna vendibilità.
Mario Micozzi
Per gentile concessione dell’autore. Articolo apparso sulla rivista di arte, antiquariato, design, architettura, letteratura, scienze umane e cultura interdisciplinare “Punto d’incontro-international” numero N. 3/4 – Novembre 2019/Febbraio 2020