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Missione di soccorso in Turchia. Loris Salina*, nostro socio ed infermiere specializzato in area critica, racconta la sua esperienza in Turchia dopo un terremoto devastante. Questa è la testimonianza di come lui e il suo team hanno affrontato la catastrofe e hanno portato soccorso alle persone in difficoltà.
L’inizio della missione in Turchia
La missione di soccorso in Turchia. Il 15 febbraio, insieme a un gruppo di circa 80 professionisti, tra cui medici, infermieri, tecnici e volontari, siamo partiti verso Antiochia, una città nel Sud-Est della Turchia colpita da un terremoto il 6 febbraio 2023. L’obiettivo della missione era affrontare le gravi conseguenze del disastro, compresi i danni alle strutture sanitarie. Siamo rimasti in Turchia dal 15 febbraio al 4 marzo, quando siamo stati sostituiti da un secondo team. Al termine della missione, l’ospedale sarebbe stato gestito dal personale sanitario turco.
L’ospedale da campo
Questa struttura autosufficiente (EMT2) comprendeva un’area di triage (zona in cui si effettua la prima valutazione del paziente e si definisce la criticità e la priorità dell’intervento sanitario), un pronto soccorso, una terapia intensiva, una sala operatoria, una sala parto, reparti di degenza e un’area diagnostica. Parallelamente, il campo operativo offre servizi come cucina, dormitori, bagni e docce.
Al nostro arrivo il personale tecnico ed i volontari avevano già allestito le tende destinate ad ospitare la struttura di soccorso. Insieme a loro abbiamo reso operativo l’intero ospedale da campo. Il pronto soccorso e il triage erano già utilizzabili la sera stessa del nostro arrivo. Nei giorni successivi, abbiamo assistito a un aumento costante del numero di pazienti, passando dai circa 30 pazienti del primo giorno a oltre 200.
Durante la mia permanenza per la missione di soccorso in Turchia, il pronto soccorso ha gestito oltre 2300 pazienti, di cui circa il 2% ha richiesto interventi chirurgici e 10 sono stati ricoverati in terapia intensiva. Alcuni pazienti sono stati trasferiti in strutture specializzate a circa 200 km di distanza. Nonostante le risorse limitate, abbiamo affrontato la situazione con determinazione, seguendo il detto “far fuoco con la legna che si ha”.

Una vicenda prima di tutto umana
Tuttavia, vorrei concentrarmi sull’aspetto umano di questa esperienza. In passato ho partecipato a missioni in Kenya, Brasile, Afghanistan e Sudan, ma questa missione in Turchia è stata particolarmente intensa. La devastazione causata da un terremoto è spietata; le persone perdono tutto da un momento all’altro.
La popolazione si è rivolta al nostro ospedale per qualsiasi problema derivante dal terremoto, ma anche per condizioni mediche preesistenti che non potevano essere trattate a causa dei danni alle strutture sanitarie. L’afflusso è stato significativo per entrambe le situazioni.
Colpisce l’umanità e la dignità delle persone coinvolte nell’evento sismico. Nonostante la loro sofferenza erano pieni di riconoscenza e ci ringraziavano costantemente. Ho notato che molte persone indossavano strati di abiti per proteggersi dal freddo e dalle intemperie, poiché dormivano nelle tende allestite per i terremotati. Le mani ed i volti delle persone erano segnati dalle macerie, certamente, ma l’anima dalla disperazione per aver perso tutto, in molti casi anche i propri cari.
Gli interpreti volontari provenienti da altre città come Istanbul e Ankara hanno svolto un ruolo cruciale. Hanno permesso al nostro team di comunicare con la popolazione locale, agendo come mediatori. Nonostante le barriere linguistiche, c’era un forte senso di solidarietà tra noi e la popolazione locale. La condivisione di tè e biscotti da parte delle persone nelle tende vicine è stato un commovente gesto di gratitudine.

La distruzione
Alessandretta, a pochi chilometri da Antiochia, presentava un panorama apocalittico. Molti edifici erano gravemente danneggiati, e la vita delle persone era sconvolta. I sopravvissuti più poveri erano costretti a vivere nelle tende allestite dalla protezione civile turca, mentre quelli più fortunati si rifugiavano da parenti e amici in zone non colpite dal terremoto.
Il nostro lavoro è stato complicato da scosse di terremoto frequenti, e una di esse, con una magnitudo di 6,4 Richter, ha fatto riemergere la paura nella popolazione locale ma anche in noi, rendendoci ancora più consapevoli del dramma a cui assistevamo. Nonostante ciò, eravamo sempre pronti a ricevere i pazienti subito dopo ogni scossa, dimostrando la forza e la volontà di fare il nostro lavoro nonostante la paura.

Solidarietà tra i sanitari
Con i colleghi, provenienti da diverse realtà ospedaliere abbiamo formato un gruppo coeso, lavorando insieme senza lamentele ma con l’obiettivo di aiutare la gente. Esistono certamente differenze culturali e tecniche, modalità di approccio all’evento traumatico a volte significative, ma il reciproco desiderio di far bene le cose è stato fondamentale per il successo della missione.
Il commiato
Alla conclusione della missione, le persone ci salutavano e piangevano, considerandoci quasi degli eroi. Tuttavia, non ci sentivamo tali, ma piuttosto professionisti impegnati nel desiderio di fare bene il nostro lavoro, come strumento per migliorare il mondo. Questa esperienza ha cambiato profondamente il nostro modo di vedere il mondo e ci ha resi ancora più partecipi e solidali rispetto alla sofferenza.
Per questo anche io dico “Teşekkür” (grazie in turco) a tutte le persone che ho incontrato durante questa missione.
(*) DOTT. LORIS SALINA: Docente presso il Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche dell’Università degli Studi di Torino ha conseguito il titolo di Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche ed un Master di 1°livello in “Infermieristica in Area Critica”. Collabora da tempo con organizzazioni umanitarie in zone di guerra, operando in vari paesi del mondo. Ha pubblicato altri contributi scritti su questo sito, come l’esperienza in Afghanistan con Emergency.

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