Di Azia Sammartano e Michele Tos
Abstract: essere dislessici comporta affrontare difficoltà che permangono anche con il raggiungimento dell’età adulta. L’articolo analizza le implicazioni del più noto tra i Disturbi Specifici dell’Apprendimento sia sul piano dello studio che nel mondo del lavoro.
I NUMERI
L’European Dyslexia Association (EDA)1 afferma che, mediamente, l’8% della popolazione europea è interessata da dislessia (EDA, 2012). In Italia, in realtà, le ultime ricerche epidemiologiche rivelano una percentuale che fluttua dal 2 al 4% circa (CC. Raccomandazioni diagnostiche 2011) con stime valutate negli ultimi anni (2012) che si avvicinano al 3,1 – 3,2 % sulla popolazione italiana. 2 Nella letteratura inglese e/o americana la percentuale di prevalenza della dislessia è in un range maggiore stimato tra il 5 ed il 17% (Shaywitz, 2005; Barbiero, 2012).
La differenza tra le percentuali sopracitate è dovuta al grado maggiore di trasparenza della lingua italiana rispetto a quella inglese in quanto, nella lingua italiana, la corrispondenza tra il grafema ed il fonema è più regolare e meno ambigua rispetto a quella inglese, ad ortografia denominata ‘opaca’. Nei bambini di lingua italiana è stato rilevato come l’abilità di lettura ad alta voce mostri un continuo sviluppo per quanto riguarda sia l’accuratezza che la rapidità: Tressoldi (1996) e Stella e Tintoni (2007) riferiscono un incremento medio, nei normolettori, pari a 0.5 sillabe al secondo l’anno durante la scolarizzazione dell’obbligo.
I bambini dislessici, invece, aumentano la loro velocità di lettura mediamente di un terzo di sillaba al secondo l’anno (Tressoldi, Stella e Faggella, 2001). Questo dato implica che il divario tra normo lettori e dislessici aumenta sempre di più con il passare degli anni, in considerazione del fatto che le abilità di lettura continuano a progredire fino all’età adulta (Spinelli et al. 2005). Un numero crescente di ricerche suggerisce che la dislessia, così come anche disortografia e discalculia, siano un disordine cronico che permane per tutta la vita (Kemp, Parrila e Kirby, 2009).
Lo studio dei disturbi specifici dell’apprendimento nell’adulto (DSA) diventa dunque un importante e interessante argomento per diversi motivi: in primo luogo per capire quali aspetti rimangono critici, in secondo luogo per individuare le più adeguate tecniche di valutazione e d’intervento/sostegno per adulti in modo da alleviarne le difficoltà e rendere la loro vita universitaria e lavorativa più soddisfacente.
LE CONSEGUENZE DEL DISTURBO
È risaputo che i disturbi dell’apprendimento abbiamo importanti ripercussioni sulle scelte di vita, nonché sulla qualità del percorso scolastico dei soggetti. Tale affermazione trova riscontro in uno studio longitudinale condotto da Michelsson, Byring e Bjorkgren (1985), che tenta di raccogliere informazioni sull’evoluzione di soggetti dislessici rispetto al loro contesto di vita e alle decisioni prese. Su un campione di 26 dislessici adulti, che avevano ricevuto la diagnosi di dislessia in adolescenza e che mostravano il permanere delle difficoltà di lettura, solo 1 soggetto su 26 aveva intrapreso la carriera universitaria, il 62% aveva completato la scolarità obbligatoria e il 34,2% aveva abbandonato la scuola per immettersi nel mondo del lavoro. Questi dati statistici dimostrano quanto le disabilità possano interferire sulle scelte occupazionali.
La dislessia può causare serie difficoltà nella vita di tutti i giorni per gli adulti, ma specialmente per chi vuole proseguire con gli studi. Infatti, da diverse ricerche è emerso che studenti universitari dislessici — che probabilmente avevano compensato le proprie difficoltà riuscendo a raggiungere il più alto livello di scolarizzazione — continuano a presentare problemi in alcune situazioni, anche nel successivo inserimento nel mondo del lavoro.
IL QUADRO NORMATIVO
Nel 2017, in occasione della presentazione del disegno di legge “Disposizioni per favorire l’inserimento lavorativo e sociale di persone con disturbi specifici di apprendimento, ai sensi della legge 8 ottobre 2010 n. 170” l’allora presidente AID Franco Botticelli, ha dichiarato: “La proposta di legge ha l’obiettivo di colmare alcune lacune della legge 170/2010 e rappresenta un passo avanti nell’affermazione dei diritti delle persone con DSA, anche in età adulta. Si tratta di allargare al mondo universitario e lavorativo i diritti già previsti in ambito scolastico, consapevoli che la dislessia non sparisce con il crescere dell’età ma accompagna tutta la vita del dislessico.”3
Nello stesso disegno di legge viene evidenziato un concetto importante “…è opportuno sottolineare come le persone con DSA hanno un funzionamento cognitivo non convenzionale per cui spesso risultano essere intuitive, innovative, creative, in generale abili ad adottare punti di vista non convenzionali e con ottime capacità interpersonali. Vi è, dunque, un errore di percezione e conoscenza che porta a far coincidere la DSA semplicemente con la dislessia, ovvero con la difficoltà di comprensione nella lettura derivante dalla problematicità di associare i grafemi ai fonemi, ma essa non è che uno dei disturbi che possono essere diagnosticati a riguardo.”.
La più recente legge 25/2022 integra quanto già normato puntando a migliorare le possibilità di inserimento lavorativo per i soggetti con DSA. I contenuti, in linea generica, prevedono il divieto di ogni forma di discriminazione verso i soggetti dichiaratamente con DSA, consentendo loro di utilizzare metodologie dispensative/compensative simili a quelle previste nella scuola post 2010. Essi potranno utilizzare, durante il colloquio di lavoro, il computer con sintesi vocale, calcolatrice, schemi e formulari, oltre ad un incremento del 30% del tempo che hanno a disposizione per il test scritto. 4
PREGIO O DIFETTO?
Quanto riportato evidenzia come la neurodiversità, caratteristica evolutiva e geneticamente determinata ma influenzata da fattori sociali, subisce la trasformazione da opportunità a difficoltà a cura del contesto sociale in cui si inserisce. Nel merito si potrebbe provocatoriamente affermare che in assenza di scuola non vi sarebbero DSA, essendo tale difficoltà parametrata su valori di riferimento in ambito della letto-scrittura e del calcolo. Poichè tali valutazioni permangono anche nel mondo del lavoro, spesso i soggetti con DSA che non hanno conseguito un titolo di studio adeguato, vengono relegati a compiti di basso livello (paradossalmente più impattanti sulle loro difficoltà), trascurando i citati punti forza.
Tali atteggiamenti derivano da parziale conoscenza dei significati sottesi all’essere soggetto con DSA, in cui si innestano pregiudizi e false credenze, scarsa preparazione dei soggetti deputati alla selezione del personale (troppo avvezzi nel considerare i curriculum come elenchi) e mancanza di strumenti normativi atti a promuovere percorsi di valorizzazione.
MIGLIORARE LE OPPORTUNITA’
Appare evidente che solo con il potenziamento della conoscenza relativa ai disturbi dell’apprendimento ed alla valorizzazione dei soggetti che ne sono affetti si potrà giungere al miglioramento delle opportunità lavorative dei soggetti dislessici, estendendo il concetto di inclusione, quasi sempre associato al mondo della scuola, al mondo del lavoro.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
1 http://www.eda-info.eu
2 C. Barbiero, I. Loncari, M. Montico et al. Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (2012), vol. 79. Pp: 413-430. I dati disponibili in Italia sono limitati e caratterizzati da variabilità. I primi test sono stati condotti negli anni ‘ 50 e ‘ 60 (Baldini e Brusca, 1958) . Nel 1967 Fagiolini et al attraverso lo strumenti denominato “ valutazione psicometrica della dislessia” hanno valutato un campione di 969 bambini milanesi, ritrovando un’incidenza dell’ 1,34%. Altre ricerche sono state condotte a Padova utilizzando la medesima metodologia su popolazioni più ampie e trovando percentuali di dislessia pari al 3,05% (Bisiacchi, Brontini e Fornari, 1978) e del 4,55% (Sava e Buffardini, 1981). Le medesime percentuali sono ritrovate in studi del 1982 (Levi e Piredda) con anche valutazione della percentuale di prevalenza del solo ritardo di linguaggio, pari al 5,3% dei bambini di quarta elementare inclusi nello studio. Uno studio altrettanto interessante è stato condotto nel 1984 (Cassini, Campalini, Lis) in cui, utilizzando sempre le medesime metodiche del 1967, è stata analizzata la prevalenza di dislessia nelle diverse regioni d’Italia. (prevalenza al nord: 3,5%; prevalenza al centro:5,3%; prevalenza al sud: 6,5%). Uno studio più recente del 2005 (Moreno et al.) ritrovava una prevalenza di dislessia pari al 6,48% con oscillazioni tra le varie scuole. Gli studi italiani mostrano dunque un’importante variabilità e potrebbe in parte essere spiegata dalla diversa tipologia di test utilizzati per la diagnosi.
3 AID 2017
4 http://www.comune.torino.it/pass/informadisabili/2022/07/22/dislessia-aid-con-la-legge-25-2022-si-riconoscono-diritti-a-12-milioni-di-lavoratori/
7 Commenti. Nuovo commento
L’articolo mi ha chiarito alcuni aspetti, suggerendo nuovi spunti di riflessione non considerati prima. Grazie.
Argomento molto interessante e spesso sottovalutato. Un articolo ben scritto che aiuta a comprendere meglio il fenomeno.
Articolo chiaro anche per i ‘non addetti ai lavori’, dovrebbe essere divulgato, fornisce molti spunti di riflessione interessanti!
Molto interessante, dà un quadro completo delle problematiche che devono affrontare i soggetti con DSA quando si approcciano al mondo del lavoro.
Molto interessante. Articolo scritto bene e chiaro. È stato utile per inquadrare bene e approfondire questo argomento. Grazie per il lavoro fatto.
Salve, ho 34 anni, da piccolo tutti ritenevano che ero svogliato e soprattutto poco sveglio e ho finito con il convincermi da solo perdendo fiducia e autostima. Oggi, dopo aver scoperto il fenomeno del DSA, mi rendo conto che in realtà avevo un enorme potenziale che non ho mai potuto sfruttare. Ora mi trovo in una situazione di stallo dove non so che tipo di futuro si può presentare per me e la mia famiglia, con lavori saltuari e malpagati. Continuo a fare colloqui ma spesso si rivelano infruttuosi in quanto non riesco neanche a gestire l’ansia. Vorrei solo aver saputo di questa cosa molti anni fa quando avrei potuto costruirmi un futuro andando all’università. Spero solo che la mia esperienza possa servire a chi oggi ha dei figli con difficoltà a scuola per fargli sapere che forse non è colpa sua o della sua volontà, ma è probabile che si senta frustrato e quindi si chiude in se stesso.
Buonasera Jerry. Purtroppo il suo viatico è comune a tanti, riconosciuti o non riconosciuti come DSA. La demotivazione derivante dalla convinzione di essere inadeguati permea molte persone, con difficoltà certificate o meno. Certo l’intervento precoce è di fondamentale importanza ma ogni forma di aiuto specialistico è sempre utile anche successivamente. Sarebbe bello conoscere meglio la sua storia, il suo vissuto scolastico, poichè importante. Complimenti per la voglia di condividere con la lucidità espressa dalle sue intense parole. Le ricordo il servizio “Domande e risposte”, sempre disponibile alla pagina https://www.progettognosys.it/consulenze/ raggiungibile da Informazioni>Domande e risposte sulla barra dei menù.