di Paola Longo (a)

Abstract: Quali sono gli elementi interpretativi che risiedono alla base del processo deduttivo che porta alla soluzione di un problema? In questo articolo si esaminano alcune possibili interpretazioni, suggerendo percorsi fondanti.

Molto spesso i ragazzi sono spaventati dai problemi, ed ugualmente insegnare a risolvere i problemi è per gli insegnanti un obiettivo che preoccupa, una difficoltà di tutti i giorni.
E’ una lamentela comune che i bambini, nella scuola di base, non sappiano risolvere i problemi e le motivazioni che si danno sono solitamente queste: i bambini non hanno la capacità di ragionare e mancano di logica (perché sono troppo piccoli, perché hanno qualche problema, perché la famiglia non li segue, ecc.)
Mi sembra interessante ricordare quello che Rosetta Zan (1) dice a proposito di questo argomento: “i bambini avvertono il problema come gratificante, quando riescono a risolverlo senza difficoltà. Viceversa se ci sono delle difficoltà, l’attività di risoluzione dei problemi viene vista come frustrante”.

Questa osservazione ci rimanda ad alcune interessanti considerazioni di Ausubel (2).

Ausubel : “La relazione causale tra la motivazione e l’apprendimento non è unidirezionale, ma reciproca. Per questa ragione, e poiché la motivazione non è una condizione necessaria dell’apprendimento, non è necessario posporre le attività di apprendimento allo sviluppo di interessi e motivazioni adeguate. Spesso il modo migliore di insegnare ad uno studente non motivato è di ignorare questo fatto per il momento e di concentrarsi sull’insegnamento più efficace possibile. Ci sarà in ogni caso un certo grado di apprendimento, nonostante la mancanza di motivazioni e si può sperare che dalla soddisfazione iniziale dell’apprendimento egli svilupperà la motivazione ad apprendere ancora. In certi casi perciò il modo più appropriato di suscitare motivazioni ad apprendere è di focalizzare l’aspetto cognitivo dell’apprendimento piuttosto che quello motivazionale, e confidare che la motivazione generata dal buon profitto scolastico darà energie al futuro apprendimento”

Ad una prima lettura questo brano appare un po’ strano, siamo abituati a considerare la motivazione come l’unico facilitatore dell’apprendimento. Cosa si può intendere con l’espressione “focalizzare l’aspetto cognitivo… per generare un buon profitto scolastico”? Bisogna resistere alla tentazione di facilitare l’apprendimento proponendo problemi banali, oppure fornendo una traccia per lo svolgimento, perché questo modo affossa la questione del comprendere. Propongo invece di agire “secondo la natura delle cose”. Siccome non vogliamo torturare i bambini, ma abituarli a ragionare, è opportuno intervenire sulle difficoltà, per insegnare ad affrontarle. E’ allora importante cercare di comprendere meglio qual è l’impatto che i bambini hanno con i problemi.
In un problema tutto è contestualizzato, in esso non c’è infatti l’operazione generica (quella su numeri senza dimensione che si esegue per allenare al calcolo) ma un’operazione che gestisce i dati contenuti in un contesto preciso. Dunque un bambino, per poter risolvere un problema deve conoscere molto bene il contesto a cui esso si riferisce e deve conoscere in che modo alcune azioni e relazioni reali sono tradotte in numeri e relazioni tra numeri da ciascuna operazione.

Le operazioni mentali che un bambino dove compiere per risolvere in problema sono:

1) analizzare linguisticamente il testo,
2) immaginare il contesto per poter esplicitare le informazioni che sono sottintese dal testo e dipendono dal contesto di riferimento,
3) riconoscere la procedura operativa per far discendere dai dati la risposta alla domanda, e, se necessario, tradurre la prima procedura “naturale” (in cui il risultato può essere frutto di una intuizione, oppure può essere dato con un disegno o con una spiegazione in lingua italiana) nel linguaggio simbolico.

Cerchiamo di capire quali sono di conseguenza le difficoltà che si presentano.

1) Incomprensione linguistica del testo: cioè l’incapacità di capire che cosa esso vuole comunicare, per la difficoltà oggettiva di alcune parole e costruzioni linguistiche.
2) Mancanza di conoscenza del contesto, che impedisce la comprensione profonda della situazione (non può essere improvvisata da una spiegazione veloce dell’insegnante, ma rimanda ad esperienze reali o vissute attraverso l’immaginazione)
3) Apprendimento decontestualizzato delle operazioni, conosciute solo attraverso strumenti molto asettici, come le striscioline di carta, la retta dei numeri, ecc. Essi sono oggetti concreti che hanno valore didattico solo se riconosciuti come simboli, cioè se si comprende che possono rappresentare altri oggetti, altrimenti le informazioni non possono essere trasferite ad altri contesti.
4) Modelli inefficaci, soprattutto quando vengono esagerate le rappresentazioni insiemistiche. Esistono situazioni che non si possono rappresentare attraverso gli insiemi, ad esempio le relazioni che si svolgono nel tempo, e comunque bisogna distinguere gli insiemi (individuati dalla proprietà caratteristica o per elencazione degli elementi) dalle loro rappresentazioni, che in alcuni casi possono perfino confondere.
5) Mancanza di allenamento all’osservazione, alla schematizzazione e alla traduzione di situazioni nel linguaggio simbolico. Questo pericolo è grave quando l’insegnante indica ai bambini percorsi precostituiti per la risoluzione.
6) Mancanza di abitudine all’esplicitazione delle ragioni delle procedure scelte.
7) Mancanza di momenti di socializzazione delle conoscenze, di discussione tra i bambini.
Ciascuno di questi punti rimanda a strategie di lavoro che possano evitare nei bambini il senso di impotenza davanti alle difficoltà.

Due esempi commentati

Propongo di esaminare il lavoro svolto in due classi su due problemi, per soffermarmi sull’importanza che ha la conoscenza del contesto nella risoluzione di una situazione problematica e per commentare la discussione.
Ecco il testo di un problema assegnato in una prima elementare, in cui ero presente:

“Una scoiattolina raccoglie nel bosco 6 nocciole e 2 ghiande. Quanti frutti ha raccolto? Successivamente ne perde 3, quanti frutti porta nella sua tana?”

Le insegnanti si aspettavano che il problema fosse facile, pensando alle operazioni: 6+2 = 8 e 8-3 = 5, invece era evidente un certo imbarazzo nei bambini. Iniziando una breve conversazione con la classe, ci siamo resi conto che parecchi bambini non sapevano bene che cosa fosse una ghianda: uno diceva di averla raccolta nel parco, uno pensava che fosse cibo per i maiali, uno diceva di averla mangiata calda al supermercato. Inoltre i bambini hanno dimostrato di non avere l’idea generale di “frutto”, ma di averne solo un idea relativa alle proprie esperienze: “quello che mangiamo alla fine del pasto, dolce e succoso”. Alcuni elencavano false proprietà dicendo di averle sentite dire, come “i frutti contengono le proteine”. Però alla domanda “da dove nasce una pianta” sanno rispondere “dal seme”, e qualcuno aggiunge che il seme è dentro al frutto. Qualcosa hanno visto, ma tutto è vago.
Mi sembra di poter dedurre che le difficoltà dei bambini non erano nel contare 6 + 2, ma nel riconoscere che con il termine “frutti” si voleva parlare di nocciole e ghiande considerate insieme, perché non era chiara l’analogia con le mele, pere, ecc, cioè con i frutti a loro familiari. Talvolta l’adulto non si comporta secondo le vere esigenze del bambino che ha davanti, ma secondo una sua immagine di bambino: la scoiattolina, il bosco, ecc sono immagini frequenti nei libri illustrati per bambini, ma non è scontato che siano da loro riconosciuti come elementi della realtà.
Nei primi anni della scuola primaria è interessante e utile fare un lungo e corposo lavoro di conoscenza di contesti reali, ed all’interno di questo lavoro fare anche dei calcoli, piuttosto che dover affrontare strani personaggi non ben identificati.

Il secondo problema è stato assegnato ad una terza elementare; anche in questo caso ero presente nella classe insieme alla maestra, con cui svolgevo alcune esperienze didattiche:

“La maestra deve scrivere 24 schede in una settimana. Poiché vuole scrivere ogni giorno lo stesso numero di schede, quante deve scriverne ogni giorno?”

Un bambino dice: 4 al giorno per 6 giorni e lo giustifica con un disegno, fatto di piccoli simboli, raggruppati in 6 contenitori. Discutiamo: quanti giorni ha una settimana? chiaramente 7, ma il bambino commenta che la domenica è meglio che la maestra si riposi. E’ evidente che questo bambino si è lasciato guidare dal modello mentale: 6*4 = 24.
La maestra, preoccupata di dare senso alla scelta di trascurare un giorno, interviene dicendo che solitamente anche alla domenica lavora per la scuola e che quindi è disposta a scrivere le schede anche di domenica. Viene allora alla lavagna una bambina, disegna 7 contenitori (i giorni) ed inizia una distribuzione: colloca i pallini (le schede) uno per giorno, completa 3 giri e poi mette da una parte i 3 pallini avanzati dicendo che sono il resto, come si fa nelle operazioni che si svolgono per esercizio. Se le cose fossero in questo modo, la maestra dovrebbe scrivere 3 schede al giorno, ma le tre avanzate non si possono lasciare in sospeso! quindi l’insegnante conclude che, procedendo in questo modo, l’esito è raggiunto solo se, risistemando le 3 schede che avanzano, scrive 4 schede al giorno per 3 giorni e poi 3 al giorno nei giorni residui. Si ritorna al testo per decidere se questa soluzione è accettabile, ma nel testo viene specificato che ogni giorno si deve scrivere lo stesso numero di schede, dunque ancora non ci siamo.
Un’altra bambina afferma che la maestra deve scrivere 8 schede al giorno per 3 giorni e si giustifica così: “avevo provato 4, ma avanza un giorno, dunque 4 non va bene e allora ho provato 8, ed ho scoperto che con 3 giorni può finire”. Dopo questi tentativi ragionati viene chiesto ai bambini di decidere se è stata data una risposta al quesito del testo: alcuni rispondono di sì, perché la maestra “voleva un consiglio” che loro le hanno dato.
Rileggo a voce alta il testo e sottolineo la richiesta esplicita di una suddivisione in parti uguali. Giungiamo allora insieme alla conclusione che il problema non ha soluzione: o la maestra si riposa alla domenica ed allora si possono fare parti uguali, oppure se vuole usare tutti i giorni della settimana deve rinunciare alle parti uguali. Concludo sottolineando che all’inizio si pensava ad un problema banale, perché tutti avevano riconosciuto una partizione, ma invece, procedendo con i nostri tentativi, abbiamo posto in evidenza una difficoltà legata al rispetto dei vincoli posti dal testo.
Questa dei vincoli è una questione interessante: essi riguardano la realtà non perché accadono o non accadano, ma semplicemente perché potrebbero accadere.

Questo problema è molto interessante proprio per la questione dei vincoli e per il fatto che il contesto obbliga all’uso di numeri interi. La situazione potrebbe essere ripresa utilizzando gli stessi dati, ma utilizzando contesti di continuità. Per esempio, se si vuole suddividere 24 metri di stoffa in 7 parti, o 24 kg di zucchero in 7 parti, possiamo utilizzare i decimali, mentre nel nostro problema non possiamo usarli, perché le situazioni sono diverse ed esigono modelli diversi: da una parte il modello discreto per le schede, dall’altra il modello continuo per la stoffa e per lo zucchero.
In entrambi questi problemi, l’utilità dell’intervento dei bambini sarebbe stata vanificata se li si fosse guidati troppo, portandoli forzatamente a dire ciò che la maestra stava pensando in quel momento. In questo modo essi non avrebbero fatto un’esperienza personale e non avrebbero messo a confronto con altri la propria congettura. L’intervento dell’insegnante, con le sue osservazioni e domande deve far esplicitare le idee che i bambini possiedono in modo da permettere loro di verificare la validità e decidere se possono essere accettate o se vanno modificate o scartate.

Perché si possa parlare di reinvenzione guidata, è dunque essenziale che i bambini trovino loro stessi le ragioni in base alle quali operare e che poi imparino a verificarne la validità.

Fonti, note e riferimenti bibliografici:

(1) Dipartimento di Matematica, Università di Pisa; autrice di numerosi libri, articoli ed atti di convegni. Vedasi articoli: http://maddmaths.simai.eu/news-2/matematica-e-studenti-italiani-tutto-da-rifare-intervista-con-rosetta-zan
http://matematica-old.unibocconi.it/interventi/danni.htm
(2) David Paul Ausubel, nato a New York il 25 ottobre 1918, morto a New York il 9 luglio 2008. Psicologo statunitense ha contribuito in maniera significativa al campo delle scienze cognitive e della didattica.

L’autrice :

(a) PROF.SSA PAOLA LONGO: Laureata in matematica; assistente di ruolo di Analisi Matematica presso Facoltà di Ingegneria, Politecnico di Torino. Ricercatrice in didattica della matematica con numerose pubblicazioni su Atti di convegni e riviste. Socio fondatore dell’Associazione Ma.P.Es (Matematica Pensiero Esperienza http://ma-pes.it ). Socio Fondatore Grimed (Gruppo Ricerca Matematica e Difficoltà www.grimed.net ).

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