di Paola Longo (a)
Abstract: Il problema nel vissuto scolastico : opportunità o difficoltà ? Dove risiede il pensiero matematico che è alla base del ragionamento deduttivo applicato alla risoluzione dei problemi?
Nell’insegnamento della matematica, il problema può essere un potente strumento di concettualizzazione, oppure un esercizio meccanico, talvolta noioso.
Precisiamo anzitutto cosa può essere un problema nella pratica scolastica, riportando liberamente 3 esempi interessanti fatti da Bruno D’Amore (1):
Congettura 1
⇥ “Ogni numero pari maggiore di 2 è la somma di due numeri primi”
Non c’è una domanda esplicita, è un problema molto simile a quelli che si pone un ricercatore in matematica, per esso si evidenziano due possibilità:
∢ Dimostrare questa affermazione (la congettura diventerebbe un teorema)
∢ Trovare un esempio che contraddice l’affermazione (sarebbe un contro-esempio)
Congettura 2
⇥ “Siamo una classe di 18 alunni e vogliamo andare in gita noleggiando un pulmino che costa 80.000 lire; due di noi, però, non possono pagare. Se i restanti 16 versano 6.000 lire a testa, ce la possiamo fare”
Anche qui la domanda è implicita: è vero che ce la possiamo fare?
Basta eseguire qualche calcolo per rispondere si o no, in questo caso il problema si può interpretare come la verifica di una risposta trovata intuitivamente, con un metodo per tentativi.
Un problema scolastico : Pierino va al mercato con 4.200 lire e compra delle uova a 200 lire l’una, spendendo tutto; lungo il viaggio di ritorno, però, ne rompe 3. Quante uova porta a casa?
Questo è un classico: a prima vista può sembrare impossibile perché nell’enunciato non è detto esplicitamente quante uova compera Pierino, ma siccome Pierino spende tutti i suoi soldi, compera il massimo numero di uova (4.200 : 200 = 21) e quindi poi tutto è chiaro.
E’ un tipo di problema utilissimo per padroneggiare l’uso delle operazioni ed anche un certo linguaggio standard dei testi. Ma a lungo andare, se si ripetessero molte situazioni analoghe, il lavoro diventerebbe scontato.
Se l’attività di risoluzione di problemi si limitasse al caso della ripetizione di enunciati standard, ben presto non solleciterebbe né curiosità né creatività e trasformerebbe il problema in un esercizio noioso perché eccessivamente ripetitivo, meccanico. Dobbiamo evitare lo stereotipo di pensare il problema espresso sempre con una o più frasi che enunciano una situazione e poi una o più domande scritte con frasi interrogative, come nel terzo esempio. Quando la meccanicità prevale, i bambini cominciano facilmente ad avere paura di esercitare in modo libero il proprio pensiero, e cominciano a sbagliare.
Le prime due situazioni, anche se non contengono una frase interrogativa, sono veri problemi in quanto propongono una meta, un quesito, la cui risposta non è evidente, ma va ricercata “ingegnandosi”.
La questione seria ora è chiedersi se nella scuola elementare quando si propone un problema, si debba già aver fornito ai bambini, attraverso adeguate spiegazioni, tutti gli strumenti che servono a costruire la risposta al problema, o se il problema stesso possa essere uno strumento di costruzione delle idee matematiche. A questo proposito ci è utile tornare alle fonti, per cercare alcune considerazioni sulla matematica ed il suo apprendimento.
Vergnaud : “La conoscenza consiste contemporaneamente in significati e significanti: essa non è costituita solamente di simboli, ma anche di concetti e di nozioni che riflettono sia il mondo materiale che l’attività del soggetto nel mondo materiale. Se la conoscenza si elabora lentamente, con leggi di sviluppo che psicologi e pedagogisti devono studiare, è proprio perché essa riflette l’attività del soggetto nel mondo materiale e non solo il mondo materiale per sé stesso. Il simbolo non è che la parte direttamente visibile dell’iceberg concettuale; la sintassi di un sistema simbolico non è che la parte direttamente comunicabile del campo di conoscenza che esso rappresenta. Questa sintassi non avrebbe nessun valore senza la semantica che l’ha prodotta, cioè senza l’attività pratica e concettuale del soggetto nel mondo reale.” (2)
Quando nella scuola elementare l’insegnante parte non dall’esperienza, ma enunciando definizioni e dando spiegazioni, inizia dall’uso di simboli senza essersi preoccupato di verificare se essi possono avere significato per i bambini, cioè se per loro rappresentano davvero qualcosa, e quindi senza aver verificato se esiste almeno la base di quell’iceberg concettuale di cui parla Vergnaud (la conoscenza implicita, che affonda le radici nell’esperienza) e senza essersi preoccupato di farlo nascere e crescere.
Si pone dunque inevitabilmente la questione (fondamentale) del ruolo dell’esperienza per imparare la matematica nella scuola elementare. Mentre è comune la convinzione che in generale esperienza, bambino, conoscenza siano fattori indissolubilmente legati, i dubbi nascono quando ci si chiede quali esperienze e quante esperienze i bambini devono fare e soprattutto se l’esperienza c’entra anche con la matematica.
La ricerca e l’esperienza didattica danno risposte certe: esistono esperienze particolarmente significative per la matematica (non solo esperienze concrete, ma anche concettuali) e l’esperienza non può essere abbandonata finché in ciascun bambino non ha generato invarianti, schemi d’azione che poi diventano concetti, regole ed espressioni linguistiche. Su questo argomento è fondamentale il contributo di G. Vergnaud, con la sua teoria del teorema in atto, del concetto dal punto di vista genetico e del campo concettuale.
Perché l’esperienza si trasformi in conoscenza della matematica, va rappresentata, raccontata, discussa, tradotta nel linguaggio specifico della matematica.
Per comprendere il testo di un problema, occorre saper fare riferimento all’esperienza, saperla immaginare, saperla organizzare pur senza averla eseguita concretamente. E’ il retroterra di esperienze personali comprese ed interiorizzate che può produrre questa facoltà nel bambino. E’ ciò che sinteticamente chiamiamo “pensiero”.
Ma anche risolvere un problema può costituire un’esperienza, se i bambini sono liberi di procedere per tentativi e sono poi invitati a spiegare come e perché hanno elaborato un certo procedimento. Può esserci un’esperienza in cui si travasano dei liquidi, in cui si ritagliano dei poligoni per costruirne altri equiestesi (anche il Tangram è un gioco-problema sulla equiestensione) oppure si può fare un’esperienza di conteggio di un insieme molto numeroso e discutere sulle strategie che rendono minima la possibilità di errore (da qui si arriva lontano, alla scrittura posizionale dei numeri ed alle operazioni in colonna). Ma l’esperienza concettuale (problema) è inevitabile perché è nella natura della matematica.
La conoscenza implicita deve precedere quella esplicita, ma non può nascere se l’allievo non è posto di fronte a situazioni problematiche, via via sempre più complesse, perché essa emerge man mano che si presentano alcune domande; sono queste che spingono a cercare criteri per organizzare le situazioni verso una soluzione.
Un problema contiene in genere molti concetti, ma non è questa molteplicità che lo rende difficile. La difficoltà è legata ad altri fattori, ad esempio il tipo di numeri che contiene, la complessità del linguaggio, oppure il campo di esperienze a cui si riferisce.
Successivamente, la discussione è un metodo per esplicitare e socializzare la conoscenza, ma fallisce il suo scopo quando l’insegnante la spinge in modo troppo pressante verso la conclusione che a lui sta a cuore. Resta comunque l’esigenza di concludere, che può anche essere rimandata alla fine di un lavoro complesso. Una singola lezione può concludersi anche con un interrogativo da riprendere nella lezione successiva.
Sintesi didattica: passi concatenati
E’ utile sintetizzare i passaggi che deve compiere il bambino e che l’insegnante deve favorire, osservare e rendere espliciti, per permettere di arrivare alla conoscenza della matematica.
Partendo dal gioco, dal movimento, dal racconto di situazioni, e quindi in senso lato dalla soluzione di problemi, il bambino è invitato a rappresentare in modo molto libero, oggetti ed azioni (aggiungo, tolgo, distribuisco, unisco, separo, costruisco un fiore con l’origami, uso il tangram, ecc.) oppure relazioni (confronto alcune bottiglie e le dispongo in ordine crescente secondo la loro capacità oppure secondo la loro altezza, confronto gli angoli di due figure, ecc.). In questa fase il bambino passa dall’esperienza ed osservazione alla rappresentazione, che può essere un racconto a parole, un disegno, un mimo, una riproduzione in scala.
Successivamente introduce simboli: invece di 30 caramelle disegna 30 pallini (o altri segni da lui scelti) e invece di una complessa scenetta sceglie alcuni elementi importanti. Impara a simbolizzare ed a selezionare.
Oltre ai simboli, facendo matematica deve usare parole, quindi pur raccontando con la lingua corrente (orale o scritta), inizia a sintetizzare il racconto introducendo alcuni simboli. Ad alcune parole sostituisce opportuni segni, ad esempio i numeri vengono scritti con i consueti segni grafici. Impara che esistono parole, come i numeri, che si possono scrivere secondo codici diversi. A questo punto ha fatto il suo ingresso nel linguaggio matematico, ed è in grado di usare un linguaggio misto, ad esempio: “5 mele e 2 mele fanno 7 mele”.
I passaggi successivi sono:
∢ rappresentare l’azione con un simbolo, introducendo i segni delle operazioni.
∢ decidere che non si ripete il nome dell’oggetto di cui si tratta (mele) perché si tratta sempre di quello stesso oggetto, introdurre un segno (uguale) per collegare l’indicazione del processo (5 + 2) con il risultato che si ottiene alla fine del processo.
Il bambino è stato guidato lentamente a fare una traduzione della stessa storia in linguaggi diversi: con la lingua corrente, con un linguaggio iconico, con il linguaggio matematico, e giunge a scrivere: 5+2 = 7.
Il peso del linguaggio simbolico è più forte in aritmetica che in geometria, tuttavia è uguale l’astrazione degli oggetti matematici nei due ambiti: gli oggetti della geometria non sono oggetti reali, ma oggetti del pensiero.
La capacità dell’insegnante sta nel rendere graduale il passaggio dalla lingua naturale alla lingua matematica, curando tutti i delicati problemi di significato che questo passaggio comporta.
Se nei primi due anni viene ben vissuta e chiarita questa serie di passi, successivamente saranno i bambini stessi a sollecitare la maestra con domande, quando sono pronti a fare un salto di livello nella rappresentazione.
Bisogna osservare che iniziare a matematizzare la lingua è un grande passaggio fatto dal bambino.
Esistono però vari livelli di matematizzazione della lingua, anche il linguaggio di uno studente liceale è ben lontano dal linguaggio di un ricercatore e non bisogna perciò affrettare i tempi con i bambini piccoli.
La reinvenzione guidata
Il processo sopra illustrato richiede un lavoro convergente da parte dell’insegnante e del bambino. L’alunno non deve imparare solo alcuni simboli, alcune rappresentazioni, ecc., ma deve imparare a simbolizzare, rappresentare, formalizzare, costruire procedimenti.
L’apprendimento stabile e significativo della matematica si può paragonare all’azione di un neonato quando impara a camminare. In questo senso ci sembra conveniente parlare di “reinvenzione guidata” secondo la concezione di H. Frendenthal.
Fonti, note e riferimenti bibliografici:
(1) Bruno D’Amore, nato a Bologna 28 settembre 1946. Ha compiuto tutti gli studi a Bologna conseguendo lauree in matematica, pedagogia, filosofia. Autore di numerosi testi e ricerche. http://www.incontriconlamatematica.net/sitoufficialebm/italiano-bda
(2) Gérard Vergnaud, matematico, filosofo. Tratto da :« Il bambino, la matematica, la realtà », Armando Editore 1994
(3) Hans Freudenthal, “RIPENSANDO L’EDUCAZIONE MATEMATICA – Lezioni tenute in Cina”, a cura di Carlo Felice Manara, Editrice La Scuola, 1994
L’autrice :
(a) PROF.SSA PAOLA LONGO: Laureata in matematica; assistente di ruolo di Analisi Matematica presso Facoltà di Ingegneria, Politecnico di Torino. Ricercatrice in didattica della matematica con numerose pubblicazioni su Atti di convegni e riviste. Socio fondatore dell’Associazione Ma.P.Es (Matematica Pensiero Esperienza http://ma-pes.it ). Socio Fondatore Grimed (Gruppo Ricerca Matematica e Difficoltà www.grimed.net ).
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